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La fotografia stenopeica
Beppe Bolchi ci introduce al mondo della fotografia stenopeica con una “prima puntata” incentrata su Filosofia e Tecnica e presentandoci il suo progetto “Frammenti di quotidianità”.

Nato a Magenta nel 1944, Beppe Bolchi ha cominciato a fotografare da ragazzino con una classica Bencini. Appassionato delle varie tecniche fotografiche, le ha sempre esplorate ampiamente. Collabora con le più importanti Scuole di Fotografia in Italia, dove presenta le tecniche con le quali realizza i suoi lavori. E’ regolare “visiting professor” presso l’Istituto Italiano di Fotografia, L’Istituto Europeo de Design e la Facoltà di Architettura dell’Università di Genova. Dal 2002 si dedica con successo all’organizzazione di Mostre ed Eventi fotografici. Sue fotografie sono state esposte al Museum of Fine Arts di Boston, a Numana, a Nocera Inferiore, Castellana, Milano, Glasgow in Scozia, Villajoiosa in Spagna, Arles in Francia.

[Articolo pubblicato il: 18/03/2009]


LA FOTOGRAFIA STENOPEICA: FILOSOFIA E TECNOLOGIA
Uno degli aspetti della ricerca fotografica che più mi hanno solleticato in questi ultimi anni è certamente quello della fotografia senza obiettivo, una piccola “camera obscura”, un forellino, tanto tempo e la capacità di guardare al di là di ciò che gli occhi percepiscono nella frazione di secondo in cui vengono impressionate le immagini che consumiamo.

Non è semplicemente la voglia di ritornare al passato o il rifiuto delle tecnologie digitali, niente di tutto questo, sono e voglio restare in linea coi tempi, non a caso programmavo computer a schede e nastri perforati ben 40 anni fa e ho vissuto l’evoluzione informatica e dell’immagine digitale passo passo.

La fotografia stenopeica, pur dal sapore antico, ha una filosofia che si stacca dagli altri modi di fare fotografie, i tempi lenti, la mancanza di un mirino, la possibilità di costruirsi il proprio apparecchio fotografico, sono tutti aspetti che hanno un loro valore e che si estrinsecano nei risultati che vengono prodotti. Guai però a confondere il mezzo con la qualità dei risultati; di per sé stesso il mezzo non qualifica e non qualificherà mai il risultato, che è e sarà sempre frutto di una conoscenza profonda delle modalità, della progettualità con cui si affronta qualsiasi tema e soggetto e della valutazione critica della proprie capacità espressive.

Mai come in questo caso si è però forzati a ragionare piuttosto che catturare, a guardare con attenzione piuttosto che vedere distrattamente, a cercare il punto di interesse piuttosto che l’immagine ad effetto.
Non si può che rimanere affascinati da tutto questo, pensando soprattutto che le nostre immagini sono generate direttamente dalla luce, nessuna intermediazione tecnologica, nessuna barriera fra il soggetto e la sua riproduzione, che riceve contemporaneamente le vibrazioni, i suoni, le atmosfere.
Una scatoletta “monopixel”, povera o sontuosa che sia, un contenitore di materiale sensibile (amplissima scelta ancora oggi), un piccolo foro che consente alla luce di adagiarsi sul nostro supporto disegnando magicamente il soggetto che vogliamo rappresentare. E la nostra capacità di vedere, di guardare, di assorbire, di capire come il lungo tempo di posa riesca a trasfigurare una realtà che riusciamo a percepire solo dopo, solo quando l’immagine si rivela, perché i nostri occhi e il nostro cervello sono ormai sincronizzati sulla velocità e sul consumo.

Ma non c’è solo filosofia, la tecnologia gioca un ruolo altrettanto importante, pur se povera e vecchia di secoli. Leonardo da Vinci ne descrisse chiaramente i principi, ma prima ancora era già in uso presso civiltà antiche e teorizzata perfino da Aristotile. Studiosi e scienziati ne hanno fissato le leggi e calcolato i parametri, che sono stati tramandati fino a oggi e su questi ci basiamo per la determinazione della distanza focale, del diametro ottimale dello stenope, del diaframma di lavoro.
Poi ognuno è libero di giocarsi questi parametri ai propri fini espressivi, non vincolato da ciò che l’industria propone. Questa è una vera e grande libertà.
Ci si può perfino permettere di posizionare il materiale sensibile in diagonale, piegato, curvato, a esse, concavo o convesso, per cui potete ben immaginare la fantasmagoria dei risultati che si possono ottenere e quindi delle interpretazioni che possiamo dare ai nostri soggetti.
Se un solo forellino non ci garba, possiamo aggiungerne altri, creando d’acchito una multivisione o perfino una panoramica a 360°!

Tecnologia significa anche assenza delle distorsioni, proprie di qualsiasi obiettivo composto da lenti (che per definizione distorcono), e quindi una assoluta pulizia dei risultati. Di botto si eliminano i problemi che da sempre assillano i progettisti di obiettivi e che non potranno mai essere risolti completamente. Per contro, non riusciremo a riprodurre i dettagli fini dei nostri soggetti, ma chi ha detto che ne abbiamo assolutamente bisogno? Un albero rimane sempre un albero, perfettamente riconoscibile come forma, struttura, essenza. Non potremo contare le singole foglioline, ma chi le ha mai contate? In compenso le vedremo mosse, agitate dal vento, che bello sentirci sfiorare da queste sensazioni!

Fondamentalmente, però, l’aspetto più importante rimane quello di fare delle fotografie ragionate, che ci obbligano a fermarci, a considerare, a guardare attentamente.
“Slow Photo” è stata definita, assolutamente in linea con le tendenze che stanno giustamente rivalutando la calma, la tranquillità, il silenzio, la lentezza, che sono gli unici rimedi allo stress e ai ritmi frenetici a cui siamo assoggettati dal consumismo sfrenato, anche da quello delle immagini che ci vengono sparate addosso senza alcuna protezione, immagini che penetrano nel nostro cervello senza alcun filtro, che ci condizionano inesorabilmente.

La fotografia stenopeica (pin hole photography) ci lascia invece respirare, profondamente, ci fa riappropriare delle nostre sensazioni, ci fa gustare di nuovo la capacità di guardare, analizzando i contenuti e apprezzando i vari aspetti che ci vengono proposti o che vogliamo proporre.

Provare per credere.

Continueremo a parlarne.

FRAMMENTI DI QUOTIDIANITA’
attraverso lo spazio e il tempo stenopeico - progetto di Beppe Bolchi


Serie di immagini originali realizzate con fotocamera stenopeica autocostruita, su pellicola Polaroid a sviluppo immediato.
I “Frammenti di Quotidianità” della giornata dell’Autore, percorrono “momenti” e non solo “attimi” della sua vita, grazie allo strumento stenopeico che consente la dilatazione dei tempi di posa e ricostruisce sul supporto sensibile l’azione, il trascorrere del tempo, il movimento o l’immobilità delle varie situazioni.
Autoscatti pensati e non rubati, attraverso una quotidianità costantemente attiva, verticale, in bianco e nero, dinamica, il tutto inserito fra due parentesi colorate: il sonno e il sogno, a fare da contrasto fra il tempo cosciente e quello onirico.
Non certo un diario, né una routine, solo “frammenti” appunto, che di norma hanno tempi e collocazioni dipendenti dalle varie contingenze, all’interno o all’esterno del proprio nido, che viene comunque rappresentato, quale rifugio e involucro, seppur temporaneo, del proprio essere.
La serie completa si compone di diciotto quadri a rappresentare: Il Sonno - Il Risveglio - La Barba - La Doccia - La Colazione - L’E-Mail - Il Telefono - La Fotografia - La Musica - Il Pranzo e il TG - Le Piante e i Fiori - La Fotografia - La Ricerca - La Cena - La Lettura - Il Pianoforte - Il Riposo - Il Sogno.

Progetto e immagini: www.farefotografie.it
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