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Intervista “aperta” a Sara Munari
L’arte ha sesso?


[08/05/2008]
"L'arte ha sesso?": questa è la domanda alla quale risponde Sara Munari, affermata fotografa milanese, lecchese d'adozione.
Direttore artistico di Leccoimmagifestival per il quale dal 2005 cura mostre di grandi autori, da anni organizza workshop con autori di fotografia stimati a livello internazionale.
Nel 2001 dà vita a "LA STAZIONE FOTOGRAFICA", Studio e galleria per esposizioni fotografiche nel quale svolge l'attività di fotografa.
Sara Munari si fa ispirare dal coraggio di osare, sfidare l'arte, mettere in discussione la funzione descrittiva della fotografia a favore di risultati introspettivi, surreali e spettacolari.
Espone in Italia ed Europa.
I suoi lavori sono visibili nel sito www.saramunari.it o, come lei ama sottolineare, nel suo studio fotografico, vero scrigno dei suoi tesori nascosti.

Sara Munari:

Il Salto - Sara Munari
Le donne – di fatto – hanno avuto, nel corso della storia, limitato accesso alla cultura e all’arte.
Manca loro, forse, “una stanza tutta per sé”, come già realizza la scrittrice Virginia Woolf nei primi anni del secolo.
Oberate dagli obblighi legati ai figli e alla famiglia, sono escluse dall’indipendenza economica; spesso tenute lontane dall’istruzione e dai luoghi dove la cultura e l’arte, vengono prodotte.

Da sempre l'arte figurativa è stato un settore in prevalenza maschile, anche se già dal Medioevo si affermano figure femminili, che tuttavia non hanno visibilità tra gli artisti, se non di riflesso, come figlie o mogli di personalità maschili più forti.

Nel periodo tra la fine del ‘500 e la metà del ‘700, le restrizioni nei confronti delle donne sono molto rigide. In Italia è addirittura proibito alle donne l’accesso alle Accademie d’arte, così come non è loro consentito prendere parte alle lezioni di nudo. Le donne si devono ritagliare un piccolo spazio che comprende la realizzazione di nature morte, miniature e ritratti e continuano ad essere considerate delle dilettanti, non riuscendo mai ad ottenere lo status di artiste professioniste.

Nel clima illuministico dell'800, nonostante non siano superati riserve e pregiudizi, le donne si riscattano dal loro isolamento, grazie anche all' utilizzo della tecnica dell'acquerello, che diviene ben presto una tendenza del momento che si mostra “adatta all’ estro femminile”.

Bisogna però giungere fino all'arte moderna, per vedere la donna interprete nella storia dell'arte: le donne si espongono, cominciano ad interessarsi come mai prima, all'arte, sia dal punto di vista creativo, ma anche organizzativo e teorico.
Nei primi anni ’70, con il diffondersi del movimento femminista, si andò contro ai modelli dominanti fino a quel momento: le stesse artiste sono spesso congiuntamente rappresentanti influenti del movimento. Il generale clima di politicizzazione dell'arte è tipico degli anni '70 e asseconda il nascere di un'arte ideologica, che si innesta nel contesto socio-politico.

Si tentò di cambiare la dinamica maschile dello sguardo e il gioco di potere nel quale la donna era stata, fino ad allora, oggetto del desiderio e l’uomo il depositario – soggetto – dello sguardo. Il mondo sembrava ordinato dalla diversità sessuale, il piacere del guardare era disgiunto tra attivo/passivo, maschile/femminile.

La visione maschile proietta la sua fantasia sulla figura femminile, la donna passiva, ne subisce lo sguardo. La donna mostrata come oggetto sessuale, recita e esprime il desiderio maschile.

Ci si inventò, quindi, un’ estetica che rompesse i canoni. Si attivò un fenomeno, che sta tuttora modificando le relazioni e le idee nel mondo artistico, grazie alle trasformazioni sociali in essere. Accenti diversi, distinzioni formali, personali linguaggi artistici, caratterizzano l’arte delle donne, oggi.

Io sono nata nel 1972, pressoché libera da questi pregiudizi, o forse, più semplicemente, non li ho mai considerati determinanti
Riflettendo, però, mi tocca constatare, mio malgrado, che mi trovo in qualche caso dipendente dallo sguardo maschile, pur non essendo una persona alla quale interessi in modo particolare, far presa su di un uomo attraverso la semplice visione.
Credo che ogni donna sia sempre “guidata”, almeno in parte, dalla coscienza dell’impressione che fa e dal desiderio di gestire, quanto possibile, l’attenzione maschile.
Non mi spiegherei altrimenti l’educazione alla cura della figura che, la maggior parte delle donne, riceve e tramanda.

Abbiamo una grande capacità di osservazione su noi stesse, alla quale siamo addestrate e ci comportiamo, all’occorrenza, come soggetti (oggetti di desiderio) di fotografie non ancora scattate.
Come in ogni forma di rappresentazione, nel mio caso utilizzo la fotografia come codice di base, per produrre le mie “opere”. Concorre alla figurazione, la formazione della mia soggettività che lavora sul mio immaginario producendo, appunto, un sentire “differente” tra me e gli altri individui, siano uomini o donne.
Posso comunque dire di aver assorbito talmente bene le convenzioni visive, non solo da pormi consapevolmente come “prodotto desiderabile” nella società, ma anche da poter ipoteticamente produrre una serie di immagini che soddisfino completamente lo sguardo maschile, pur essendo donna.

Come fotografa quindi, quanto del mio lavoro è autocontemplativo e narcisistico e quanto è consapevolezza della forza sensuale, come gesto di seduzione, che una fotografia può destare? Concorrono entrambi?
Non lo so. Perlomeno, non riesco ad individuare una risposta su me stessa.

Mi sono chiesta spesso, una volta legittimata la mia opportunità attiva di visione, se il mio ruolo di narratrice, fosse disgiunto dal mio essere donna. Credo, rispetto a questo, che narrare non sia mai neutro ma più facilmente, più in generale, senza sesso.
Esiste quindi, un’espressione creativa che possa definirsi femminile o la ripartizione può dar luogo a forme di discriminazione?
La risposta mi sembra difficile. Non so se esista o meno una caratteristica o un elemento comune all’interno della produzione artistica creata da donne, soprattutto se si agisce consapevolmente, in modo artistico.
Se è più facile sentir dire di arte femminista, più incertezze avrei a decifrare l’esistenza di un’arte femminile.

Forse, il fatto che io stia scrivendo sull’opportunità di un’arte al femminile, implica la necessità di una motivazione sull’argomento che, se il processo attivo/visivo, non fosse distinguibile, non dovrei dare. Personalmente vorrei porre un dubbio sull’ esigenza di attestazione di questo tipo.
Si pretende neutralità che è in realtà, dal mio punto di vista, esiste già di fatto e non ci si dovrebbe sforzare di affermare.
Proprio attraverso questa affermazione si conferma implicitamente una sorta di ghettizzazione del lavoro delle donne o degli uomini ed una differenziazione del fare, femminile o maschile, mentre in realtà:
"All'arte non interessa se sei una donna o un uomo. Una cosa che devi avere è il talento e devi lavorare come un matto” (Alice Neel - pittrice americana scomparsa nel 1984)

Infine si può considerare che se la mancanza di figure femminili ha in passato portato scarso interesse all’ impegno delle donne nell’arte, sia da parte della critica che da parte delle gallerie e dei musei, è di recente fondazione un museo dedicato a opere d'arte esclusivamente femminili, il National Museum of Women in the Arts , a Washington, D.C.
Forse anche questo è da considerarsi una contraddizione, o purtroppo, una prova nata dall’esperienza storica oggettiva di marginalizzazione delle donne e che essere artiste donne, ancora oggi non è una condizione neutra, ma conferisce una connotazione di genere ancora molto forte?
La storia delle donne in campo artistico va di pari passo con quella della loro emancipazione sociale, credo che il loro cammino sia difficile e pieno di ostacoli, da affrontare con determinazione, considerando, nel caso ancora vi siano, le limitazioni ed i pregiudizi ai quali si potrebbe essere sottoposte.

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